Aurelio Paradiso


IL CENTRO SOCIALE

Per le modalità con cui avvenne il passaggio di competenze alle regioni in materia di biblioteche e di centri sociali, l’inevitabile conseguenza fu la chiusura - almeno nel Lazio - dei Centri sociali della Cassa per il Mezzogiorno e delle strutture del Ministero della Pubblica Istruzione (Centri di lettura e Centri sociali di educazione permanente).
Una ricerca dell’Università di Roma «La Sapienza» e del Movimento di Collaborazione Civica mise in evidenza la situazione di questi ultimi e dei risultati positivi raggiunti dai CSEP che disponevano di dirigenti qualificati.
Nessun profitto fu tratto dalle esperienze condotte fin dall’immediato dopoguerra (la ricerca ONU è del 1952) da enti di edilizia popolare, di riforma agraria e da altri impegnati in campo socio-culturale.
Nell’ambito dei centri operanti nello sviluppo di comunità vanno ricordati quelli UNRRA-CASAS, INA-Casa, Movimento di Comunità e Centri del Canavese, Progetto «e» dell’UNESCO in Abruzzo, Progetto Shell a Borgo a Mozzano, i Centri di servizi culturali della Cassa per il Mezzogiorno e i citati CSEP del Ministero della Pubblica Istruzione.
In tale contesto vanno inquadrati i Centri per la diffusione della cultura auspicati dal Ministero del Bilancio nel suo «Progetto 80».
Vari progetti edilizi vivacizzarono il settore. Ricordo quello «nucleare» di Roberto Battisti e Carlo Cartocci (1971) e quello di Riccardo Cerocchi (1969).
Il dissennato impiego di tanta operosità profusa in centinaia di Centri sociali e delle risorse impegnate ha portato all’attuale situazione di stallo.
Il risultato odierno è quello di un’imprevista diffusione, ma di una limitata utilizzazione del Centro sociale quale moderno strumento di democrazia partecipata.
Infatti esso è impiegato, salvo rare eccezioni, prevalentemente nello svago di anziani o nell’antagonismo di giovani. Siamo ben lontani dalla struttura intermedia che dovrebbe porsi tra vertici e base, mantenere vivibile il rapporto dei cittadini con l’ambiente.
Forse la storia sarebbe stata diversa se, con un po’ di lungimiranza e un pizzico di coraggio, fosse data attuazione a quanto previsto dal Piano di coordinamento degli interventi pubblici nel Mezzogiorno per gli operatori sociali con un più netto orientamento.
Con precise metodologie professionali (ricerca sociale, lavoro di gruppo, sviluppo di comunità) e l’inquadramento nei servizi sociali si sarebbe usciti da tanti equivoci e assicurata continuità alla innovativa esperienza condotta dai Centri sociali.
Le illustrazioni seguenti riguardano i campi di lavoro internazionali, il progetto di Giorgio Calza Bini per Sabaudia e l’inizio nel 1972 dei Corsi universitari presso l’Ospedale di Latina. Le fotografie sono tratte dal corposo indice contenuto nel volume di Fermina Anelli.


1390
Giovani di diverse nazionalità riuniti nella sede di Via Oberdan prima di avviarsi ai campi di lavoro

1391
Un momento della conferenza stampa CIGI-AAI tenuta presso il Centro di Servizi Culturali sul «Progetto Sabaudia»

1392
L’inaugurazione dei Corsi di medicina presso l’Ospedale civile di Latina

1972b
Nella foto i numerosi studenti intervenuti all’inaugurazione dei Corsi di medicina a Latina nel novembre 1972

Nel 2022 una città di novant’anni può già annoverare un cinquantennio di vita universitaria!
Per una città giovane un insolito evento diventa facilmente un atto di nascita. Non è l’unico risultato dell’intervento della Cassa per il Mezzogiorno (CASMEZ) e del Centro Formazione e Studi per il Mezzogiorno (FORMEZ) che si è protratto dal 1961 al 1972, irradiandosi dal Capoluogo in tutta la provincia.
In quegli anni, oltre al primo Centro sociale, Latina ha avuto il privilegio di una prima biblioteca moderna, insieme con altri 90 centri del Mezzogiorno che ne erano sprovvisti. Si diede così vita ad un modello servizio di pubblica lettura (al primo piano del palazzo di Via Oberdan, 24) acquisito ormai da tutte le biblioteche comunali.
Il bassianese Aldo Manuzio sarebbe fiero di questa sua provincia.
L’esperienza maturata in quei dodici anni ha poi costituito la base per la definizione del «Sistema di servizi culturali» oggetto del Convegno nazionale di studio della CGIL Funzione Pubblica e Sindacato nazionale scuola che vide confluire proprio nella città di Latina esperti e operatori nei giorni 12 e 13 ottobre 1985, con la presidenza del Rettore dell’Università degli studi «La Sapienza» prof. Antonio Ruberti.
Sarebbe opportuno che in questo particolare momento in cui si auspica maggiore impegno, coesione, solidarietà, gli Enti locali ponessero attenzione a quella proposta del 1985 finora rimasta nei cassetti. In particolare le «attrezzature culturali di base” auspicate anche dal CENSIS nel 1988 per la nostra provincia che, come scrive Taylor a proposito dei centri comunitari, possano costituire «la traccia di un contrattacco democratico».
Ciò nella convinzione, come esperienza insegna, che l’educazione civica è simile all’educazione fisica: va praticata. Il Centro sociale (o comunitario) ne è la palestra indispensabile.
Solo con il rinnovato impegno degli Enti locali sarà possibile inoltre integrare e dare continuità a quel lavoro di pubblicizzazione e divulgazione generosamente svolto dalla Camera di Commercio negli anni 1960-1970. Oggi l’archivio della CCIAA (tra libri e Rivista) racchiude le più esaurienti testimonianze delle attività socio-culturali nel territorio provinciale.
Come la congiuntura richiede, spetta alla Provincia l’assunzione di una più precisa posizione in materia. Per due motivi:
- in attuazione dell’art. 2 dello Statuto che recita «promuovere la piena e solidale partecipazione dei cittadini all’organizzazione e allo sviluppo della vita civile, politica ed economica della comunità»;
- in attuazione del protocollo d’intesa firmato con il Comune di Latina che ha assorbito, tra l’altro, il Servizio di Promozione culturale.